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MARINA FULGERI
Intervista a cura di C.Agnello

WORK,ART IN PROGRESS, Speciale Italia
Periodico trimestrale della Galleria Civica di Arte Contemporanea di Trento



C.A.Crei oggetti impraticabili, attraverso la luce ridefinisci spazi e
dislochi elementi da un luogo ad un altro. Che ruolo ha nel tuo lavoro
la percezione visiva?

M.F.La percezione visiva è il filtro per vedere il mondo, alterarla con interventi minimi crea degli sfalsamenti della realtà in grado di mettere in discussione ciò che vediamo. Aperture improvvise, o aperture negate, come nel caso di Light dislocation (2006) e Light perception (2006), portano chi guarda a riconsiderare la loro posizione: emerge così un senso di spaesamento, sintomo del tempo in cui viviamo, dove i punti di riferimento subiscono una evoluzione continua e accelerata. Questo disorientamento si avverte anche in altre opere, come in Magnetic Variations (2007) e nel progetto fotografico No limits (2005-2006) dove i quartieri delle capitali europee, fotografate di notte, (Berlino, Bruxelles, Londra, Milano e Parigi) scompaiono, ne rimangono solo le insegne delle attività commerciali. Culture diverse in luoghi diversi, in una sorta di dislocazione socio-culturale. No limits si riferisce non solo ai confini geografici, ma anche all'annullamento dei confini culturali e sociali. La percezione visiva non permette di vedere tutta realtà, ma attraverso la luce ci fa vedere solo una parte della realtà, quella illuminata. Il confronto con il buio più totale mette in discussione ciò che invece è ben illuminato, esiste o non esiste, ma soprattutto ciò che vediamo esiste? E ciò che non vediamo esiste?

C.A.Nelle installazioni, nei lavori fotografici così come nei video -
attraverso un intervento minimo - crei un effetto di coinvolgimento,
generando disorientamento e al tempo stesso un visione alterata del
reale. Quanto è importante il confronto con lo spazio o il contesto
nel quale si andrà ad inserire l'opera? C'è un luogo in particolare
con il quale vorresti confrontarti?

M.F.In alcuni casi è proprio il confronto con lo spazio a generare l'opera.
Credo che il contesto, sia importante in ogni caso, la nostra percezione visiva non ci permette di vedere singolarmente ma percepiamo un oggetto solo in relazione a quello che gli sta accanto. E' proprio da questa relazione, tra l'opera e il suo contesto, che partono tutta una serie di collegamenti, diretti ed indiretti, che vanno ad arricchire il significato dell'opera. La suggestione data dal luogo e l'opera insieme, è in grado di modificare la realtà aprendo nuove prospettive di visione. Nell'opera Screen:off (2003) una forte luce posta dietro il sipario stimola l'immaginazione lasciandola, allo stesso tempo, libera.
In questo momento avrei voglia di un immenso spazio vuoto, da far vivere. La sfida del confronto con uno spazio 10 000 volte più grande di te, mi suscita emozioni forti in grado di generare l'opera (anche in questo caso l'opera nasce in relazione al contesto nel quale si andrà ad inserire).